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alias Glinda Izabel di Atelier dei Libri —
Fan-Cover di "Never - Yvonne dei Lupi"

Fan-Cover realizzate da Miriana Cannone
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Fan-Cover di "Never - Yvonne dei Lupi"
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Cristina Zavettieri — alias Khristh —
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Fan Cover per "Never - Yvonne dei Lupi"
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Fan-Art di Viviana Maltivoglio dedicate a
Elena Ray e Stella Milano




Incipit per "Io sono Heathcliff"
di Stefano Mangusta
L'unico rumore nella stanza era il suono dell'orologio a pendola che scandiva il tempo. Le ampie vetrate, spesse come era tipico nelle dimore di campagna, impedivano al freddo ed ai suoni esterni di penetrare nella casa. Il letto a baldacchino, ornato con stucchi dorati ora spenti, mostrava i suoi drappi di bianca seta immobili nell'aria stantia della stanza.
L'intero ambiente era foderato in legno: pareti, e rifiniture frutto del lavoro di abili ebanisti del passato, adesso riflettevano la luce del camino e delle candele sulla propria fioca ed antica superficie. Quella stessa luce si rifletteva sui bassi mobili, che un tempo avevano contenuto gioie materiali e ricordi di gioie dell'anima, e sulle poltrone con i loro rivestimenti di velluto rosso impolverato dal tempo.
In effetti, solo una delle poltrone non aveva nemmeno un soffio di polvere sopra di se, perché era la poltrone dove, da anni, il signore della villa si sedeva per guardare fuori dalla finestra.
Aveva tenuto il mondo sempre più lontano da se, aveva eretto un muro contro il mondo esterno. Non si trattava ovviamente solo delle pareti della villa o del fatto che si era circondato di domestici anziani che erano ben felici di abbandonare raramente la tenuto. Il suo era un muro più profondo: composto dai campi d'erba su cui si allungava la bruma, dalle siepi lunghissime che si estendevano tutte attorno alla villa, a metà tra una barriera ed un labirinto.
L'economia moderna lo aveva anche liberato, a differenza dei suoi antenati, a dover vivere dei suoi possedimenti locali: le sue rendite erano presso banche sicure, amministrate su fondi blindati. Nessuna speculazione, nessuna avventura in borsa: soltanto il guadagno minimo necessario per garantire una dignitosa vita da eremita per se e per la sua servitù.
Non c'era televisione nella villa, ne alcuna comodità che fosse divenuta d'uso comune dopo la prima metà del 1800.
A queste, ed a molte altre stranezze, il signore della casa rispondeva dicendo semplicemente: “Ci sono confini tra i vivi ed i morti che non dovrebbero essere superati. In questa villa, invece, tale limite è stato violato più volte. Non sarò io a peggiorare ancora questo precario equilibrio”.
Probabilmente era solo un caso ma le rare volte che iniziava questo discorso, sembrava sempre che il vento della brughiera diventasse più freddo e spirasse più forte, pareva poi che il cielo si facesse maggiormente terso e che gli ululati degli animali si facessero più acuti, quasi con una nota di sconforto nel loro canto.
E, quando questo accadeva, il padrone della villa sorrideva ma di un sorriso tanto malinconico da non aver niente a che fare con la felicità di un vero sorriso. E dopo quel ghigno, si metteva ad osservare con attenzione la fredda e nebbiosa terra dello Yorkshire attorno a lui, come se si aspettasse di veder sbucare fuori all'improvviso degli ospiti da lungo tempo attesi.
Puntualmente, ogni volta, scuoteva il capo deluso e sussurrava “Non è ancora il tempo”, per poi tornare alla villa e chiudersi in un ermetico silenzio.
Eppure, nonostante i contatti minimi col mondo circostante, giravano storie molto strane su quella tenuta e sui suoi abitanti. La gente del paese vicino li vedeva giungere su un antica carrozza scoperta per comprare le poche cose che non potevano coltivare o allevare da soli. Generalmente erano molto cordiali ma poco espansivi, pagavano, ringraziavano e se ne andavano.
Le voci sul conto dei padroni della villa erano innumerevoli e le più autorevoli giungevano da un vecchio che aveva lavorato per loro quando era più giovane, fino alla mattina in cui era scappato a gambe levate. Aveva preferito fare lavori più umilianti e mal pagati piuttosto che tornare indietro ed ancora adesso viveva nella sua piccola casetta, duramente sudata, al piccolo villaggio.
La sera, nei pub, un paio di pinte di birra lo aiutavano a raccogliere le idee ed a trovare il coraggio di raccontare la storia della sua fuga e sopratutto i motivi. Alcuni, i meno giovani, avevano sentito di quei fatti molte volte ma li trovavano ancora delle divertenti allucinazioni di un vecchio matto; per gli altri era una novità.
Il vecchio era titubante, perché era consapevole di essere solo uno zimbello e non era la birra alla fine a dare inizio alle sua parole ma la voglia di liberarsi di quel peso, consapevole però che nessuno lo avrebbe creduto fino in fondo.
Ed allora, il vecchio iniziava il suo racconto senza guardare nessuno, a parte il vuoto innanzi a se: “Questa è una storia che ci porta il vento d'autunno, attraverso strade sterrate costeggiate da alberi e cosparse di foglie d'oro proveniente da oltre il bosco nero. Verso la magione in cui le luci alle finestre splendono nella notte come gioielli spettrali. Forse dovrei dire "c'era una volta" … ma questa non è un favola. Il padrone diceva che c'erano occhi che splendevano come i gioielli degli gnomi e che quando lei, che portava quegli occhi, appariva nella dimora, allora si respirava un desiderio ardente ed inappagato, capace di far sentire inadatto il più coraggioso degli uomini. E quelle erano le notti in cui il padrone diceva che “lei” era con noi. Ma c'erano anche delle notti peggiori, sapete? Notti durante le quali il padrone gridava che invece c'era “lui” con noi: ed allora il proprietario girava con il candelabro per tutta la villa, gridando che i di lei occhi lucenti, gli occhi che lui cercava, non portavano più luce nelle sue sale, che quelle luci erano state portate lontano … lontano da dove la gente camminava. E quando diceva questo, scappava nella brughiera invocando il perdono per se stesso, per la sua incapacità di non poter fare altro. Quando rincasava piangeva sempre e si immergeva, fino ad addormentarsi, in testi antichi per i quali aveva speso una vasta parte della fortuna di famiglia. E cosi fu finché, una mattina, non lo trovammo chino su di un libro che conteneva disegni … disegni che ...” il vecchio si fece il segno della croce prima di riprendere il discorso “Beh che la chiesa d'Inghilterra dovrebbe bruciare! Prima di spirare, il tenutario aveva vergato delle scritte su di un foglio di carta. Le ricordo perfettamente come fosse ieri, come una nenia imparata a memoria. Dicevano:  ho letto tomi dimenticati per riportarli a me, ho rinnegato i limiti che l'Eterno ha imposto allo scibile umano … senza ottenere niente. Piangendo nella notte ho chiesto il Suo perdono, poiché ho passeggiato lungo sentiero dove le parole furono pronunciate quando le stelle erano propizie. Nelle ombre ho visto cose che non dovrebbero esistere. Ma tutto ciò è inutile, poiché la risposta è sempre stata sotto i miei occhi fin da quando tutto questo è cominciato: Le rocce ne saranno custodi. La brughiera prigione. Finché una Figlia di Sangue non giungerà per ridare il sale alle loro ossa. E la terra non griderà più i loro nomi”.
Il vecchio prendeva sempre del gin per scaldare le sue vecchie ossa, ancora più gelide al termine della storia. Nessuno dei baldi avventori del pub lo avrebbe ammesso ma anche loro sentivano più freddo quando la storia terminava … come se le gelide nebbie dello Yorkshire si fossero insidiate sotto i loro vestiti come dita spettrali.
“Da quella mattina, sono scappato da Cime Tempestose e non intendo tornarci nemmeno da morto” concludeva sempre il vecchio narratore prima di abbandonare il pub. Erano in pochi a notare però che, sottovoce, aggiungeva anche “Sopratutto non tornarci da morto”.
Quasi una volta a settimana, il vecchio era costretto a riproporre il suo ricordo agli avventori del pub, specie se c'era qualche straniero o qualche giovane che non lo aveva ancora sentito. Eppure era una sorta di prova di coraggio anche per i baldi giovanotti che l'avevano udita più spesso: era difficile tornare a casa, di notte, con le parole del racconto ancora fisse nella mente. Sembrava quasi che la brughiera allungasse i suoi suoni ed i suoi profumi fin dentro i villaggi, anzi fin dentro le case delle singole persone. Molti pregavano prima di mettersi a dormire, chiedendo a Dio di dare pace a chi si aggirasse tra le nebbie senza averne.
Il legittimo proprietario della villa non aveva idea dei piani di Dio verso le anime in pena e non aveva nemmeno voglia di scoprirlo a scapito della salute mentale come era avvenuto per suo padre, morto su libri contentamenti un sapore pericoloso … oltre che inutile.
La risposta era scritta nella pietra, per questo lui si accomodava sulla poltrona e fissava quella fredda brughiera perdendo sempre di più la consapevolezza del mondo in cui si trovava; se fosse il mondo materiale o quello della sua mente o il mondo di ciò che vi è “oltre”, non avrebbe saputo dirlo.
“Qui, a Cime Tempestose, non ha senso chiedersi quale delle invisibili forze del mondo stiano agendo, poiché ne siamo tutti troppo coinvolti.” disse una sera alla servitù riunita “Farò in modo che le cose cambino nell'unico modo in cui da sempre avrebbero potuto cambiare”.
Detto questo, appena fu di nuovo solo, estrasse una pallina di stricnina dalla giacca e la ingurgitò, rimanendo fisso a guardare le nebbie della brughiera. Accanto a lui c'era un telegramma recante la risposta all'unica indagine che avesse in vita sua ordinato di fare su quel mistero e su come risolverlo. Mentre le forze gli iniziarono a mancare, spostò solo un attimo lo sguardo dalla brughiera fino al messaggio sul foglio. Due parole, un solo nome: Elena Ray.

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